Goodwood Revival 2018 recap
Nel novembre scorso, al ritorno da Birmingham, altra bella e meritoria iniziativa del Club, qualcuno aveva
parlato della ipotesi di una scappata a Goodowood: forse non era una promessa, ma il Club comunque è stato di
parola.
Una ventina di amici del Club, provenienti un po’ da tutte le parti, da Napoli come da Ginevra, si sono così
incontrati il 7 settembre 2018 in quello che è un magico sito del motorismo inglese, l’antico circuito di
Brooklands, realizzato nel lontano 1905 da un ricco proprietario terriero inglese, tale Hugh Locke King, il quale
al ritorno di un viaggio in auto con la moglie Ethel proprio in Italia, esattamente a Brescia per la Coppa Florio,
decise di offrire anche al pubblico inglese lo spettacolo delle corse automobilistiche, che la normativa di allora
proibiva sulle strade aperte al traffico; fece così costruire sulle sue terre il circuito, realizzando al tempo stesso, un
investimento molto redditizio per le sue finanze.
Il sito ospitò poi la nascente industria aeronautica inglese e vide la fabbricazione dei principali aerei da
combattimento nei due conflitti mondiali. Di tutte queste attività rimangono oggi innumerevoli ricordi e cimeli,
automobilistici e aeronautici ospitati all’interno dei vecchi capannoni ed hangar o sparsi per il grande spazio
verde all’aperto, tra questi un gran numero di auto dal glorioso passato sportivo, molte con la patina delle tante
primavere trascorse ed anche per questo forse più belle di quelle lucide e brillanti che vediamo nei musei.
Del circuito sopravvive una largo tratto della curva sopraelevata (banked curve) ed il ponte che la sovrastava
(Member’s bridge) offrendo un magnifico colpo d’occhio sulle auto che sfrecciavano sulla pista; a breve distanza è
stata restaurata una breve e ripida salita (The Test Hill) su cui si testavano le capacità delle auto in salita ed in
frenata. Per rendere la magica atmosfera che offre il circuito posso dire che al mio arrivo ho trovato un
capannello di appassionati intorno ad una Bugatti celeste degli anni 30, che non voleva mettersi in moto,
nonostante i ripetuti sforzi di una gentile signora con la manovella e diversi interventi sul motore. Al centro un
anziano signore diversamente abile sulla sua sedia dirigeva gli sforzi della signora alle prese con la manovella e
con i carburatori. Il lavoro è andato avanti a lungo. Poi un applauso collettivo ha accompagnato il suono del
motore finalmente acceso.
La mattina del secondo giorno è stata dedicata alla città di Whinchester, che ho scoperto essere famosa non
solo per il celebre motivo di Whinchester Cathedral, che i più “giovani” ricorderanno fu inciso nel 1966 e disputò a
lungo il primo posto nelle classifiche con Good Vibrations e I’m a believer, ma anche per la splendida Cattedrale
gotica e numerosi ed interessanti ricordi di Re Artù ed i Cavalieri della Tavola Rotonda.
Il pomeriggio, invece, dopo un ottimo pranzo in un pub di fronte al porto, abbiamo visitato l’antico arsenale di
Portsmouth e anche qui non c’è stato tempo di annoiarsi. Il cantiere offriva molte attrattive, la maggiore forse il
vascello HHS Victory dell’ammiraglio Nelson, il quale non se avrà a male se arriviamo subito alla metà principale
di questo “pellegrinaggio” nella terra di origine delle nostre amate Mg, il Goodwood Revival Meeting di cui
quest’anno ricorreva il 20° anniversario ed al quale abbiamo dedicato quasi tutta la giornata successiva,
macinando diversi kilometri sui prati intorno al circuito.
Avevo sentito molti racconti sull’atmosfera di Goodwood dai soci più anziani, ma la realtà supera la fantasia. Sul
circuito, realizzato dal Duca di Richmond sul sito di un vecchio aeroporto, hanno corso negli anni piloti del
calibro di Stirling Moss, Jim Clark e Graham Hill. Le attrattive oggi sono talmente tante da rendere veramente
difficile scegliere dove andare o fermarsi. Molti visitatori raggiungono il circuito con le loro auto d’epoca,
animando così con i loro colori e rumori tutte le stradine che dalla campagna circostante convergono su
Goodwood, riportando indietro di qualche decennio l’orologio. Così una passeggiata nel parcheggio a loro
riservato offre la possibilità di vedere da vicino un “mare”, ma forse dovrei dire un “oceano” di vecchie glorie del
motorismo inglese e non solo, in perfetta efficienza. Poi una volta entrati, sulla pista e negli hangar troviamo auto
da competizione degli anni 50 e 60 in un numero imbarazzante. Jaguar, Lotus, Aston Martin, Cobra, Maserati,
Ferrari danno vita ad uno spettacolo agonistico in cui accanto al clima delle corse di quegli anni si può trovare
l’atmosfera rarefatta di un thè all’aperto del miglior club inglese e quella della più rumorosa festa paesana con
giostre e bancarelle di ogni tipo. Tutto rigorosamente all’aperto. Migliaia di persone (150 mila nei tre giorni),
moltissime abbigliate alla moda degli anni delle vetture, oltre alle auto stesse animano quello che è reclamizzato
come l’unico raduno storico interamente ambientato come un vero e proprio set cinematografico.
Anche il colpo d’occhio dei visitatori ed in particolare delle visitatrici e delle figuranti che, secondo il dress code
della manifestazione, sfoggiano abiti dell’epoca e una infinità di quei cappellini colorati di cui le signore inglesi
(non esclusa la Regina) sono particolarmente fiere, è uno spettacolo a sé. La suggestione di queste magnifiche
auto impegnate nelle gare, il rumore quando affrontano le curve o accelerano nei lunghi rettifili, il profumo di
olio che accompagna il loro passaggio sono difficili da descrivere. La cronaca della giornata, la nostra era la terza
e conclusiva dell’evento, riporta la vittoria di una verde Lotus Climax 25 del 1962, mentre era ancora vivo il
ricordo della vittoria di una rossa Ferrari il venerdì precedente. Le corse si alternano quasi senza sosta in tutti e
tre i giorni, intervallate da parate ed eventi rievocativi, che possono essere facilmente seguiti a bordo pista o sui
grandi schermi; le tribune coperte richiedono un biglietto specifico piuttosto caro.
Una vera “chicca” mi è sembrata la gara inserita nel calendario ufficiale per la conquista della Strettington Cup su
un tracciato di circa 250 + 250 metri del circuito, in due sessioni, riservata alle automobiline a pedali condotte da
bambini sotto i dieci anni, accompagnati dai genitori, il cui tifo mi è parso poco british e più mediterraneo. Le
automobiline, tutte Austin J40, furono costruite nel secondo dopoguerra utilizzando gli scarti metallici della
produzione per dare lavoro agli operai disabili delle miniere.
Dimenticavo il clima; gli organizzatori, Guidetta e Piero, avevano prenotato temperatura frizzante, cielo azzurro
e qualche nuvoletta bianca di decoro e così è stato.
Grazie a loro, al Club e a tutti i partecipanti. Come si dice non c’è due senza tre, la prossima potrebbe essere il
Silverstone Classic o l’Autojumble di Beaulieu. Perché no?